Domandiamo la grazia per un poeta
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 258, p. 3
Data: 30 ottobre 1955
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Proprio oggi, 30 ottobre, Ezra Pound — poeta americano di prima grandezza — finisce settanta anni. Non trascorre, però, questa giornata in una sua casa mezzo ai boschi o sulle rive del mare, festeggiato dagli amici e dagli ammiratori, bensì in un manicomio criminale dove è rinchiuso da dieci anni benchè non è un pazzo nel senso ordinario della parola, nè tanto meno un delinquente.
Non intendo attenuare ne assolvere le colpe di Ezra Pound verso il suo paese ma penso e proclamo che queste colpe, in qualunque maniera si vogliano misurare e pesare, hanno avuto, il martirio crudele di dieci anni, la loro piena espiazione. Con questi dieci anni di prigionia umiliante, di promiscuità ripugnanti, di schiavitù mortificanti, l'autore dei Cantos, ha pagato, ha scontato, ha riscatta ogni suo errore.
Un artista, un uomo di cultura e di pensiero, un poeta sono creature oltremodo ipersenbili, che soffrono a mille doppi al paragone degli esseri comuni: i dieci anni di Ezra Pound corrispondono a una specie di eternità.
Nel momento stesso che i capi del Cremlino rimandano graziati i criminali di guerra non possiamo credere che i discendenti di Penn e di Lincoln, di Emerson e di Walt Whitman vogliano essere meno generosi e clementi dei successori di Lenin e di Stalin.
A nome dei poeti e di tutti gli uomini di cuore d'Italia io mi rivolgo alla «donna gentile» che rappresenta a Roma la grande unione americana. La signora Clara Luce è, per grazia di Dio, una cristiana, un'artista e a scrittrice e perciò saprà trovare le parole più appropriate e calzanti per far comprendere a Washington il nostro sentimento la nostra preghiera.
Prima che abbia principio il nuovo anno avrà fine la tetra e tormentosa reclusione del vecchio e infelice Ezra Pound: questa vorrebbe essere la nostra certezza più che la nostra speranza. Un secolo fa, nel 1855, moriva solo e triste, in un ospedale a Copenaghen, il più grande scrittore danese, Kierkegaard; moriva in esilio a Costantinopoli il più grande poeta polacco, Mickiewicz; moriva a Parigi, suicida, appeso a un lampione, uno dei più grandi romantici francesi, Gérard de Nerval. Fate sì che non si debba leggere nel futuro che uno dei più grandi poeti americani del secolo ventesimo fu condannato a spengersi miserabilmente in compagnia degli alienati e degli assassini.
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